lunedì 23 novembre 2015

L'ultimo delitto perfetto

Il testo seguente è il primo di una serie di articoli che avrei dovuto scrivere per una rubrica di cultura audiovisiva che si chiamava Terz'occhio.
Poi non se ne fece nulla, ma intanto il pezzo l'avevo scritto.
Era la primavera di quest'anno. Ora lo posto qua.
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Io ti ho messo al mondo! -
Una macchina che sa pensare e sentire!
E' come un bambino, deve imparare!
Stavo iniziando a scrivere questo articolo, quando non so da quale scheda aperta del browser web arrivano queste parole, recitate in stile Hollywood.  
Tutto quello che vuoi fare lo puoi fare!
Scrivere poesie, avere idee originali!
Trovo la scheda aperta e vedo un video con un ragazzo che sta parlando ad un robot di colore blue, che ha i lineamenti di un altro androide, il famoso C-3PO di colore giallo oro, quello di Guerre Stellari. Si tratta del trailer di Chappie, l'ultima impresa science-fiction della Sony & TriStar, appena distribuita nelle sale italiane dalla Columbia.


Caspita! -  mi dico - Avevo intenzione di iniziare a parlare del Delitto Perfetto ed ecco qua che si presenta un esempio calzante appena sfornato e perfettamente aggiornato!  Con Chappie si sta prepotentemente dando in pasto al pubblico giovanile l'ennesima favola tecnologica con pretese morali politically correct, in cui un giovane genio crea il robot perfetto, quello che non solo sa pensare e sentire, ma è in grado anche di raggiungere il top dell'essere umano, quello di creare!
La gente ha paura di quello che non capisce!
Il problema dell'intelligenza artificiale è che è imprevedibile!
Si sta sempre più decisamente tentando di compiere un nuovo delitto perfetto, l'uccisione dello status umano in favore della macchina.
Tu ci hai insegnato molto di più di quanto io potessi immaginare.
E' l'inventore che sta parlando a Chappie, un po' malconcio perché evidentemente le cose si son messe male per lui.
Questo robot va tolto di mezzo!
Ma è' un ragazzino!
Forse il prossimo gradino dell'evoluzione!
Ecco, l'hanno dichiarato apertamente!

Ma il Delitto Perfetto a cui mi riferivo, non è nemmeno il capolavoro di Hitchcock del '54. Parlo invece dell'indimenticabile testo dall'omonimo titolo, scritto nel 1996 in cui il filosofo francese Jean Baudrillard si chiede con ironica rassegnazione: la televisione ha ucciso la realtà? Ma era una domanda retorica. Il delitto è effettivamente accaduto, ora possiamo dirlo con certezza.

Intanto il trailer procede con scritte bianche su nero che inframezzano flash violenti con i consueti effetti speciali di fuoco e fiamme emessi quando la tecnologia è dispiegata al fine di distruggere.
SARETE I TESTIMONI DEL VIAGGIO DI UNA MACCHINA CHE DIVENTA UOMO.
Dopo che negli anni Ottanta Regan e la Tatcher avevano spianato la strada neoliberista dei poteri privati che spingevano l'acceleratore del turbocapitalismo, con la conseguente necessità di alimentare la sfiducia del settore pubblico dello Stato; dopo la terribile guerra dei Balcani, con tutto il suo scempio di verità immolata sull'altare della propaganda mediatica di guerra che contribuiva a smembrare e svendere l'ex Yugoslavia, negli anni in cui Baudrillard scriveva il suo avvincente thriller sociologico, ormai avevamo capito che si stava procedendo a marce forzate verso la distruzione della connessione tra reale e illusione.

Non so se è chiaro il concetto!

E' filosofia, ma produce effetti dannatamente reali!

Se non ci fanno capire più dove finisce la realtà e inizia la finzione, siamo nelle loro mani, di chi gestisce il gioco del grande palcoscenico globale.

I filmati dell'Isis sono veri o falsi? Rita Katz, la donna israeliana che li produrrebbe, non è quella che lavora per il SITE, un'entità dell'Intelligence Usa? Ma il califfo Abu Bakr Al- Baghdadi non è iscritto alla medesima loggia massonica di George W. Bush denominata Hathor Pentalpha? Così come ci viene chiaramente esposto e argomentato da Gioele Magaldi, nel suo libro illuminante sul "back office" del potere, "Massoni: società a responsabilità illimitata".

Ma ritorniamo a Baudrillard. Fu proprio negli anni Novanta, quando cominciava ad essere evidente l'imperante dittatura del logo: ogni oggetto, ogni circostanza o luogo aveva smesso di comunicare se stesso nella sua concretezza, per cominciare a rimandare, come propria indissolubile immagine speculare, continui riferimenti televisivi, pubblicitari e mediatici.
Sai cos'è una pecora nera?
No
E' tipo quando tu sei diverso per tutti gli altri.
E' ancora la bambina, l'amichetta di Chappie, che nel frattempo infilza il perfido suggerimento politically correct nelle menti dei giovani spettatori, per utilizzare anche il messaggio di tolleranza per il diverso, questa volta però in favore dei poveri robot incompresi e perseguitati. Cosa non si fa per istillare sempre maggior interesse verso la sempre più invasiva ideologia transumanista in atto. Vogliono farci credere che l'ideologia sia ormai un retaggio obsoleto del passato, intanto i messaggi che ci inviano sono intrisi di ideologia, non definita tale ma come fosse una immediata constatazione di fatto.
Io sono coscienza, io sono vivo!, Io sono Choppie!
Appunto.

Scrive un commentatore di Baudrillard su Yahoo:
Dopo aver sancito la fine dell'economia politica, la fine delle speranze marxiste e dunque delle illusioni rivoluzionarie, la fine della comunicazione e la fine della politica, ecco dunque il colpo di grazia: è finita la realtà.
Ma questo succedeva negli anni Novanta dello scorso millennio!
Prossimamente qui su questo schermo, oggi possiamo annunciare che il successivo Delitto Perfetto è l'uccisione dell'uomo! Dell'essere umano, intendo.

Detto fra noi, si tratta della collaudata tecnica della previsione che intende auto-profetizzarsi  instillando concetti appropriati, magari fin dalla tenera infanzia, cosìcché, nello spazio di pochissimi anni o nell'arco di una, massimo due generazioni, potremo assistere ad una rivoluzione antropologica inaudita.

Chi prenderà il posto dell'uomo? Ridotto ad un puro epiofenomeno naturale, una nuova narrazione si sta tentando di inoculare prepotentemente: sarà la natura, non più libera, ma preda di una tecnologia sovrumana, che toglierà all'essere umano il suo ruolo protagonista della storia, la sua specificità originaria, per inglobarlo in se stessa, come una delle sue tante manifestazioni?

Non lo dico io, ma due insigni filosofi italiani, Pietro Barcellona e Tommaso Garufi, in un libro il cui titolo  è tutto un programma: Il furto dell'anima.

Nel tempo dei new media, con l'I-pad o l'I-phone costantemente in mano, il retro di copertina recita:
"è già prossimo il tempo in cui ciascuno potrà ordinare via Internet tutte le protesi necessarie al buon funzionamento del suo corpo e tutti i farmaci che possono potenziare il suo apparato sensoriale e le sue funzioni cognitive. Ci saranno cliniche specializzate con medici ingegneri che applicheranno alla nostra massa cerebrale micro-chip che renderanno possibile suonare Beethoven senza aver studiato musica e che forniranno prodotti farmacologici miracolosi per stimolare le zone cerebrali…
Un libro controcorrente che si propone di mostrare come l'illusione scientista tecnologica sia un ennesimo tentativo di cancellare la questione del "cosa è un uomo" dall'agenda del pensiero occidentale. Riusciranno gli esseri umani a sopravvivere al Grande Potere Tecnologico di manipolare il corpo e la psiche dei propri figli, reso ormai totalmente possibile dalla Scienza della Vita?"
Insomma, in un mondo dove si è arrivati a non farci capire più niente di niente, persino il linguaggio ha perso, non solo i suoi connotati etici, ma anche i significati originali, ormai completamente capovolti in una sorta di neo-lingua di orwelliana memoria. Parlare di missione di pace è immediatamente connesso alla guerra; nominare i tribunale per la tutela dei minori rimanda sempre più spesso alla  questione dell'affidamento e conseguente distruzione della famiglia; uscire dalla crisi economica sta ad indicare gli ennesimi ed ulteriori sacrifici in nome del fantomatico pareggio di bilancio.

Se ci tolgono anche il linguaggio e la capacità di esserne sovrani, al pari di non essere più sovrani della moneta nazionale, di non essere più sovrani del territorio su cui si vive, che cosa ci rimane da fare, se non ridurci a delle macchinette da consumo, in stile "utili idioti" rappresentato da quel capolavoro cinematografico di satira pop intitolato Idiocracy, uscito nel 2006? Arriveremo veramente a credere che una bevanda gassata tipo Coca Cola sarà il migliore modo per innaffiare le nostre coltivazioni agricole?

Il gioco di specchi che stiamo vivendo è complesso. Tutti noi abbiamo perso la direzione di marcia, mentre il mondo appare decisamente orientato sotto una guida ferrea e precisa. L'iper-realtà generata e prodotta dal grande Sistema Integrato della Comunicazione, appiattito sull'unica funzione comunicativa resa ormai possibile, quella commerciale, non sembra che ci voglia mollare. Tutto va a rotoli, siamo circondati e sembra che nessuna capisca da dove ricominciare.

- Dal documentario! Partiamo dal genere documentario, quello che hai ben espresso nel tuo documentario sui documentari, La Terza Via.

Così mi sollecitava l'amico Maurizio Andreanò una volta, quando mi chiedeva un primo pezzo della rubrica editoriale di cultura audiovisiva "Terz'occhio" che avrei dovuto gestire. Certo, possiamo iniziare dal documentario! Non solo perché questo è stato l'ambito professionale che maggiormente mi ha accompagnato negli ultimi quindici anni, ma perché effettivamente studiando questo genere di prodotto audiovisivo già riusciamo a scorgere numerosi motivi di risveglio ad una vera conoscenza libera da ambiguità e ideologie alienanti.

http://www.docnewscast.com/portfolio/la-terza-via-il-documentario

- E poi in quel documentario si parla della Sicilia di Montalbano! - continuava Maurizio.

Infatti nella serie televisiva tratta da Camilleri, la Sicilia viene colta con i suoi colori, i suoi paesaggi, la sua forza, che il regista Alberto Sironi, non a caso proveniente dall'esperienza del documentario, ha voluto raccontare attraverso un uso cinematografico della camera, che si impone sull'estetica medio-bassa dei prodotti televisivi, a cominciare dalle telenovele e i reality.

Nel documentario già c'è tutto il discorso, il detto e il non detto della comunicazione sociale:  c'è la netta distanza dalla mera notizia o dall'inchiesta giornalistica, scomparsa dalla scena televisiva e comunque appannaggio di una casta su sui pesano gravi responsabilità morali su questa Caporetto informativa in cui l'Italia in particolar modo, è piombata negli ultimi vent'anni. C'è la distanza, altrettanto netta, dalla pura fiction del cinema. Il documentario non è né l'una né l'altro. Sta a metà strada tra giornalismo e cinema, una terza via, la via della coscienza singola che vede. Dietro a un documentario, un vero documentario, c'è sempre infatti un autore preciso con il suo sguardo personale.

Solo conoscendo l'identità personale e culturale di chi ci sta parlando, qualunque essa sia, sapremo veramente qualcosa di più del soggetto del documentario, a dispetto di quelle descrizioni pretenziosamente asettiche, che invece pretendono di oggettivare con uno sguardo assoluto e dogmatico la realtà, come fanno i documentari scientifici alla Piero Angela & famiglia. Non parliamo quindi di quei prodotti di qualità tecnica in genere eccezionale, trasmessi dal National Geographic, conformi megafoni dell'establishment informativo, che confermano puntualmente tutte le verità ufficiali sancite dal regime. Il vero documentario si porta dietro la carica rivoluzionaria espressa dal soggetto individuale quando libera il suo pensiero dai vari condizionamenti e trova il modo di rappresentare la forza della sua propria visione in immagini e parole.

Tutte le dittature hanno sempre osteggiato il vero documentario d'autore, favorendo invece prodotti ispirati dalla propaganda politica. La nostra cosiddetta democrazia oggi soffre di una censura ancora più forte rispetto al passato, proprio perché non è esplicita, ma passa vigliaccamente attraverso i tecnicismi impersonali, legati alle cifre del mondo della finanza, degli incassi e delle percentuali Auditel, vera truffa, quest'ultimo, convenzionalmente organizzata per accaparrarsi e spartirsi in poche grandi agenzie pubblicitarie, le risorse economiche dell'intero sistema.

Non c'è posto per il documentario d'autore, né al cinema, né in televisione. E' vero che c'è sempre grande entusiasmo nei festival di documentari, ma non girano soldi in questi posti e assai di rado un documentarista riesce a rientrare delle spese sostenute. Resta Internet, con le sue molteplici potenzialità, ma è ancora presto per parlare di vera possibilità di reperire il sostegno economico sufficiente agli autori indipendenti che vogliono mettersi in gioco in questo genere audiovisivo di difficile collocazione. Fino ad oggi non conosco un modello di business che possa trarre interamente dalla rete il costo delle spese di un documentario serio.



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